Si racconta che u’ Vizzarro amasse trastullare la compagnia con la sua verve da buontempone.
Non c’era fanciulla che non temesse e non apprezzasse la temeraria audacia di questo novello Cecco Angiolieri, che, come il poeta, amava “le donne giovani e leggiadre”, mentre “le vecchie e laide” lasciava altrui.
Il progresso, intanto, avanzava e, con esso, la strada che collegava Castelsaraceno e Moliterno alla vallata del Sinni.
Gli addetti alla costruzione dell’opera, tutti giovani operai del posto, trascorrevano l’intera giornata sotto il sole cocente della montagna o al freddo pungente dei rigori invernali.
Il tempo fluiva lento e per tutti l’attesa era rivolta al suono del corno, con cui il capocantiere era solito annunciare la pausa per il pasto giornaliero.
Quel giorno u’ Vizzarro volle divertirsi e divertire tutti: non si sa come, venne in possesso del famoso corno del capocantiere e vi soffiò con lo stesso vigore con cui Rolando aveva fatto riecheggiare l’olifante al Passo di Roncisvalle per richiamare Carlo Magno.
Tutti si apprestarono al desco, pur se l’ora non era quella giusta, anzi c’era da lavorare ancora per molto prima del pranzo: u’ Vizzarro ne aveva fatta una delle sue!
Il capocantiere, di animo truce e non predisposto all’ilarità, prese a male uno scherzo innocente e, per quel giorno, costrinse gli operai a digiunare.
U’ Vizzarro se ne dispiacque, ma non potè rimediare in alcun modo.
Oggi la sua discendenza vuole riscattare quell’ingiusta e severa punizione che il capocantiere inflisse agli operai, proponendo a tutti un pasto luculliano, in memoria di u’ Vizzarro.